Seneghini Federica

Giovinette. Le calciatrici che sfidarono il Duce

Pubblicato il: 21 Gennaio 2021

Appartengo al gruppo delle donne tifose. Il calcio mi piace da sempre anche se non l’ho mai praticato a livello sportivo. Una mia ex collega, diversi anni fa, giocava nella squadra femminile della Roma e poi è passata a quella della Lazio. La figlia di un’altra amica gioca a calcio in una squadra locale. Mia nipote, di dieci anni, se la cava davvero bene con un pallone tra i piedi. Il calcio ha la sua variante femminile ma, nonostante questo, ancora oggi c’è chi continua a ritenere che le donne dovrebbero dedicarsi ad altre attività. Lo dicevano anche i fascisti, un tempo. Logico: la donna doveva diventare prima moglie, poi madre. Possibilmente di parecchi figli, meglio se maschi, neanche a dirlo. “Giovinette. Le calciatrici che sfidarono il Duce” racconta proprio questo, alla fine. Racconta il modo in cui un regime maschilista e autoritario considerava le donne, in generale, e le donne calciatrici, in particolare.

Giovanna, Marta e Rosetta sono le sorelle Boccalini. Tifose dell’Inter e appassionate del gioco del calcio. Sono nate e vissute sotto il fascismo ed è anche la loro vicenda, ricostruita in forma di romanzo, che la giornalista e scrittrice Federica Seneghini ha trasportato, in uno stile molto abbordabile e attraverso una scrittura estremamente scorrevole, in “Giovinette. Le calciatrici che sfidarono il Duce”. I nomi riportati, tranne forse per un paio di eccezioni, sono quelli reali. La storia, in fondo, è piuttosto semplice: un gruppo di ragazze di Milano, un bel giorno, nel corso del 1932, decide che è giunto il momento di mettere in piedi una squadra di calcio femminile. “Fu più o meno così che alla fine dell’estate del 1932, anno X dell’era fascista, mentre l’Italia si crogiolava in quelli che più tardi sarebbero stati definiti «gli anni del consenso», un po’ alla volta anche noi iniziammo a giocare a calcio. Un po’ per noia, un po’ per accontentare la Zanetti, un po’ per fare qualcosa di nuovo rispetto al solito“.

La voce che narra è quella di Marta, la sorella di mezzo. Giovanna è quella sposata con prole, Rosetta è la più piccola e la migliore in campo. Non è facile giocare a calcio nel 1932: “Ma con quelle gonne lunghe che eravamo costrette a portare non era mica facile. E poi non avevamo le scarpe adatte, non potevamo metterci in maniche corte, non potevamo alzare la voce per non attirare troppo l’attenzione della piccola moltitudine che come noi trascorreva la domenica ai Giardini. Non potevamo nemmeno correre, o perlomeno non troppo. Tutto doveva essere fatto con moderazione, perché eravamo donne, si intende. E il regime aveva più volte detto che lo sport femminile doveva essere proprio così: moderato“. I limiti sono tantissimi ma la passione delle prime calciatrici italiane è più grande di ogni costrizione mentale. Per la precisione, come spiega Marco Giani nel suo saggio, a chiusura del libro, anche prima del 1932, in Italia, c’erano state donne italiane capaci di giocare a calcio ma mai, prima di allora, venne ufficialmente fondata una squadra di calcio femminile.

Con le settimane e i mesi il Gruppo femminile calciatrici milanese comincia a organizzarsi: un allenatore, un presidente, divise, allenamenti. Tutto secondo le regole. Il problema è che il Duce e le sue leggi non sono pronti ad accettare, ma nemmeno a tollerare, che un gruppo di ragazze possa giocare a calcio proprio come fanno gli uomini. Si prevedono rischi per la fecondità, per l’allattamento, per la procreazione. Le giovani milanesi devono sottoporsi a visita ginecologica per mettersi in regola e si rivolgeranno anche al professor Nicola Pende, a capo dell’Istituto di biotipologia individuale e ortogenesi. E anche da lui un responso dai toni tipicamente fascisti: “Giuoco del calcio dunque, sì, ma per puro diletto e con moderazione! Ciò vale per tutti gli sports femminili“. Moderazione, diletto, nessuno sforzo e via dicendo. Donne viste come oggetti da maneggiare con cura, dunque, totalmente prive della libertà di poter gestire il loro corpo come meglio credono, relegate a ruoli predefiniti e ben fissati nell’immaginario comune.

Marco Giani ci pone al cospetto di molti preconcetti maschilisti del periodo fascista. Tra i più inquietanti: “gli sforzi del calcio, e le conseguenze di pallonate in alcune parti del corpo, o di calci ecc., ecc., possono riuscire deleteri al loro fisico come non lo sono per l’uomo, conformato diversamente e compromettere in modo irreparabile la funzione di maternità, per la quale sono state create” (da “Lo Schermo Sportivo”, 14 marzo 1933, p. 2) oppure “non occorrono di certo delle virago per la salute della razza, la prestante conformazione delle nostre generazioni avvenire, e la progressiva selezione del tipo italiano superiore. Occorrono delle autentiche donne, ricche di energie, salde di ossa e di muscoli sì, ma non prive della necessaria morbidezza e femminilità” (da “Tutti gli Sports”, 8 ottobre 1933) oppure “Il nostro pensiero è netto, preciso, e crediamo lo condividano anche le Gerarchie calcistiche, alle quali è commesso il dovere che una simile buffonata tipo americano non abbia seguito nell’Italia fascista, dove si ha bisogno di buone madri, e non di «virago» calciatrici” (da “Lo Schermo Sportivo”, 14 marzo 1933, p. 2).

I luoghi comuni di quel tempo buio somigliano, almeno in parte, ai luoghi comuni contemporanei, va detto. Per quanto riguarda la presenza delle donne su un campo di calcio ma anche oltre. Le calciatrici contemporanee, in Italia, solo da pochissimo tempo sono entrate a far parte del mondo del professionismo, a differenza di quel che succede in altri Paesi. I Mondiali Femminili di Calcio in Francia, nel 2019, hanno mutato notevolmente la visione di molte persone che si sono ritrovate, quasi senza volerlo, a tifare per le giocatrici della nazionale italiana di calcio. È servito tempo e servirà ancora molto altro tempo affinché tutti, ma proprio tutti, in Italia e fuori dall’Italia, dismettano i propri blocchi mentali e i loro pregiudizi nei confronti delle donne, dentro o fuori da un campo sportivo.

Edizione esaminata e brevi note

Federica Seneghini (Genova, 1981), laureata in Lettere Moderne all’Università di Bologna, ha vissuto e lavorato in Inghilterra, in Finlandia, in Scozia e a Barcellona. È giornalista del «Corriere della Sera» nella redazione online e a capo della squadra social del quotidiano di via Solferino.

Marco Giani (Gallarate, 1984), storico e insegnante, è membro della Società Italiana di Storia dello Sport. È autore di diversi articoli accademici sul calcio femminile in Italia.

Federica Seneghini, “Giovinette. Le calciatrici che sfidarono il Duce“, Solferino, Milano, 2020. Con un saggio di Marco Giani.

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